di Euripide
uno spettacolo di Massimiliano Civica
con Daria Deflorian, Monica Demuru, Monica Piseddu
e con Silvia Franco
costumi Daniela Salernitano
maschere Andrea Cavarra
luci Gianni Staropoli
traduzione e adattamento Massimiliano Civica
una produzione Fondazione Pontedera Teatro e Atto Due
in collaborazione con il Comune di Firenze
e con Rialto Santambrogio di Roma
e Parco Tecnologico “Le Murate” – Centro Servizi, Comune di Firenze – Direzione Cultura, Turismo e Sport
Si tratta di un progetto speciale, che mette in luce come il Teatro viva solo perché muore tutte le sere: un “qui e ora” anche antidoto all’illusione del “dappertutto e sempre” dell’era digitale. La storia di una donna che è il simbolo stesso di un sacrificio in nome dell’amore ci riporta ad una “lentezza” in cui il tempo per scegliere è il ritmo stesso a cui marcia una vita non priva di senso. Un solo mese di repliche nel Semiottagono dell’ex carcere delle Murate, e nessuna tournée a seguire, 20 spettatori alla volta, un cast pluripremiato
Note di regia
Questo impianto registico parte da una premessa: il teatro non è contemporaneo. Oggi abbiamo ottenuto il dono (o la condanna) dell’ubiquità. La tecnologia ci porta in ogni istante, in ogni luogo. Siamo, nello stesso tempo, dappertutto, insieme a tutti e da nessuna parte e piuttosto soli. Non è importante partecipare a un debutto, ce ne sarà un altro in una città vicina o almeno a Roma o a Milano (anche per questo la scelta di Firenze, apparentemente “decentrata” e paradossalmente, quindi, più visibile), si producono spettacoli a rotta di collo, si moltiplicano i festival per mostrarli perseguendo la novità a tutti i costi, si è costretti ad una tenitura media di pochi giorni. Di ogni “evento” c’è una replica, di ogni informazione si trovano rimandi (non sempre fedeli) dappertutto, e dove non si arriva fisicamente si arriva in streaming o almeno in podcast. Non si deve scegliere, abbiamo tutte le possibilità a portata di mano e l’illusione di un tempo infinito per poter ipoteticamente decidere che strada prendere. Il teatro invece è mortale: accade in un luogo, davanti ad alcune persone, per una sera e quando è finito lo è per sempre. Il teatro non è contemporaneo, perché è il solo luogo dove la morte non fa finta di non esserci. Oscenità tutta del palcoscenico, quella di ricordarci che siamo mortali e non abbiamo infinite possibilità. Questo senso del teatro, la sua finitezza (che rimanda alla nostra) sono rimossi collettivamente. Il teatro “antico” ci esorta a fare una scelta: bisogna scegliere di andare a teatro, e di perdersi tutto il resto. Con la rinuncia, accettando una perdita si ritrova il senso. La tragedia greca è inattuale e porta questo ragionamento al suo estremo, per questo è uno strumento utile. La scelta di Alcesti, poi – la storia della somma rinuncia, quella alla propria vita in virtù di un amore – completa la riflessione.