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GIUSTO LA FINE DEL MONDO

GIUSTO LA FINE DEL MONDO
di Jean-Luc Lagarce

traduzione Franco Quadri

drammaturgia e regia Simona Arrighi, Laura Croce
con Luisa Bosi, Laura Croce, Sandra Garuglieri, Roberto Gioffrè, Riccardo Naldini
allestimento spazio scenico Francesco Migliorini
organizzazione Elisa Bonini, Davide Grassi
produzione AttoDue/Murmuris

“Era bello… Poi niente fu lo stesso – sussurra la Madre – si può forse sapere come tutto scompare?”

Giusto la fine del mondo è un testo immenso. Ordinato, simmetrico, eppure vivo, di una vitalità così dinamica da diventare voragine. è un testo sull’amore, sulla famiglia, sulla morte, sul coraggio, sul viaggio, sulla distanza, sul silenzio, sulla potenza della parola. Attraversarlo significa arrendersi ad esso, come ci si arrende alla sofferenza e alla vita stessa. Ci si immerge, per imparare a navigarlo, sapendo che se si arriverà all’altra sponda saremo più sicuri e saldi. C’è poco che non si possa trovare e dire in questo testo. Lo scritto è così chiaro e vero che si svolge da sé nei corpi degli attori, pare di non dover aggiungere altro, né forzare in alcuna direzione.
Come ha potuto Lagarce riuscire a essere così limpidamente classico e così sfacciatamente innovativo nella stessa opera? Forse la morte che davvero gli era vicina gli ha dato facoltà nuove e possibilità straordinarie.
Un uomo torna a casa, dalla sua famiglia, per comunicare che presto morirà. Se ne andrà senza averlo detto, ma
l’incontro con la madre, la sorella, il fratello e la cognata, sarà per tutti l’occasione per rivelarsi. Così tra ricordi
sbiaditi, speranze deluse e dinamiche impietose, entriamo nella verità di questa famiglia, che è la nostra famiglia, che è tutte le famiglie. Luogo di sicurezza, ma anche di rancori, di rimpianti, di aspettative, di gelosie.

Qui c’è tutto e il contrario di tutto. Giusto la fine del mondo non è un testo, è un luogo dove accade ogni cosa. Un oceano infinito di parole che i protagonisti, con echi beckettiani, ma con una vis tragica che sconvolge, riversano l’uno sull’altro, eppure si avverte solo il silenzio e l’impossibilità di dirsi davvero qualunque verità. Louis, il protagonista, è in realtà una figura defilata, quasi assente, potrebbe non esserci, forse è già morto. Nulla accade, eppure alla fine nulla è più come prima, tutto è mutato, per
sempre. Così ci ritroviamo là, giusto alla fine del mondo, alla fine della vita, alla fine di questa menzogna. La catarsi c’è, come in ogni tragedia che si rispetti, e noi la viviamo. Ma non è alla conclusione, come vuole Aristotele, bensì durante, nelle parole violente, nella forza che i protagonisti esercitano contro se stessi.

NOTA TECNICA: Questo lavoro nato nel 2014 per uno spazio scenico tradizionale, viene ora ripensato per piccoli spazi domestici, appartamenti, case, sale. Il pubblico, in numero ridotto, deve stare vicino agli attori, intercettarne gli sguardi, condividerne gli spazi e i tempi, vivendo con questa famiglia così normale e particolare, questa giornata così intensa e definitiva.
In virtù di questa nuova vita la scheda tecnica è ridotta all’adattamento allo spazio, non prevede né luci, né musiche, solo lo spazio adatto per un pranzo domenicale.


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